Benvenuti!

Questa è una teoria economica che spiega le determinanti del debito pubblico e del profitto ed i principi del commercio internazionale.

Vi chiediamo di leggere tutti i capitoli per comprendere le regole e la logica nascosta che a scuola nessuno vi ha mai insegnato. Capirete che non vi può essere un bilancio in pareggio, chi è il creditore finale di tutti i nostri debiti e perché funziona così.

Se leggerete fino alla fine, potreste diventare un ottimo ministro dell’Economia e non vi chiederete più perché le cose stiano così. La conoscenza è la chiave per raggiungere la libertà e, leggendo questi capitoli, eviterete di essere ancora presi in giro da un qualche politico.

Buona fortuna!

Prologue

L’obiettivo di questa teoria è spiegare al lettore che:

  • Il debito pubblico, che si accumula come disavanzo annuale, è inevitabile e necessario perché un sistema economico  funzioni;
  • Solo i Paesi che abbiano un avanzo delle partite correnti o che intraprendano politiche monetarie espansive possono avere un equilibrio di bilancio nel lungo periodo;
  • Non è possibile avere un avanzo delle partite correnti nel lungo periodo per tutti i Paesi nello stesso momento e provoca un disavanzo in un altro Paese;
  • Non è possibile ridurre il debito pubblico senza un intervento di politica monetaria, a meno di non danneggiare il Paese vicino grazie ad un avanzo commerciale;
  • Il debito pubblico è il mezzo necessario per consentire la creazione di risparmio (da parte dei lavoratori mediante i salari e degli imprenditori mediante i profitti);
  • Senza ricorrere al disavanzo pubblico non vi possono essere né profitti né risparmi ricorrenti;
  • Ogni tentativo di abbattere il debito pubblico senza un intervento di politica monetaria è destinato a fallire:  sono infatti analoghi a tentativi mirati alla riduzione del risparmio;
  • Tentativi di limitare il debito pubblico equivalgono a porre un limite al risparmio o ai profitti;
  • Se si vuole creare risparmio e profitti, si deve accettare il disavanzo;
  • E’ il debito pubblico che consente di creare risparmio, non viceversa;
  • Il debito pubblico non distrugge le generazioni future, è semplicemente il mezzo inevitabile con cui creare risparmio e profitti oggi.

La teoria propone anche un nuovo modello finanziario, che si basa su:

  • Un sistema finanziario completamente digitalizzato, senza carta-moneta;
  • Un circuito chiuso di circolazione monetaria, all’interno di blocchi economici definiti (la moneta non può uscire da un dato blocco monetario);
  • Ognuno di questi blocchi economici è in grado di tassare direttamente risparmi  troppo elevati grazie a tassi d’interesse negativi per la clientela retail (che non può  evitarli per l’esistenza dei blocchi chiusi e per la completa digitalizzazione del sistema finanziario).

I benefici di questo sistema sarebbero:

  • La capacità di superare il limite zero (la situazione in cui i tassi di interesse sono prossimi allo zero e l’economia continua a essere in recessione);
  • Un nuovo strumento per le banche centrali, che oggi manca, per stimolare la spesa e eliminare la disoccupazione;
  • Eliminare la necessita dell’outsourcing, attraverso sussidi a particolari settori industriali;
  • La capacità di eliminare la povertà e favorire la crescita economica grazie a sussidi superiori alla produttività;
  • La capacità di trasferire i guadagni di produttività ai lavoratori, come ad esempio aumentando il tempo libero;
  • La capacità di eliminare la disoccupazione, compensando una riduzione della produttività con i sussidi;
  • Eliminare la necessità di misure di politica monetaria espansiva e quindi assicurare la stabilità della moneta e l’equilibrio delle partite correnti;
  • Assicurare la sostenibilità del sistema finanziario grazie a flussi di denaro infiniti, senza la stasi  provocato da eccessivo accumulo di risparmio

2.Creazione del profitto

Per la maggior parte delle imprese il profitto è l’obiettivo finale. Ma cosa significa ottenere un profitto e quali effetti  ha sul sistema finanziario? Per capire le conseguenze di questo processo, dobbiamo prendere in considerazione alcune semplici regole contabili. Niente di complicato, solo i concetti di base, che ci sono necessari. Ogni impresa raggiunge un profitto quando i suoi ricavi sono  maggiori dei costi. Facile, perché no?

Al momento non importa come si originino i ricavi, spetta all’imprenditore decidere in quale settore operare.

Quello che ci interessa sono i costi. I costi sono dati dai salari, dai costi delle materie prime e dei beni  intermedi, e dal costo del capitale. E’ un concetto semplificato, ma sufficiente ai nostri fini. Guardiamo meglio ai singoli costi. Se una materia prima ha un prezzo, questo da dove viene? I materiali, sia le materie prime che i beni intermedi, sono offerti da imprese che hanno i loro dipendenti, che utilizzano  beni e servizi dei loro fornitori, e a loro volta cercano di ottenere un profitto. Come si determina il prezzo del carbone? L’impresa deve pagare i suoi dipendenti e i suoi fornitori e fissare un prezzo che sia più alto di questi costi, in modo da realizzare un qualche profitto. Il prezzo deve sempre essere più alto della somma dei costi incluso il costo del capitale.

Lo possiamo descrivere così:

 

 

Si capisce così che tutti i costi non sono altro che una trasformazione dei  salari e del profitto.  Intendiamo costi dei fornitori nel modo più ampio, includendo beni, servizi e capitale. I costi del fornitore B sono dati dai salari di B, dal profitto di B e dai costi dei fornitori di B, che vengono allocati a B. Analogamente, i costi di C sono composti dagli stessi elementi, e così via fino alla base della piramide.

Del resto, anche il costo del capitale è in ultima analisi determinato dal costo del lavoro (il salario dei dipendenti di banca di ogni livello) e dal profitto (dato dalla differenza tra il tasso d’interesse pagato dal cliente e il costo dei depositi o dell’interbancario).

In ultima analisi, il profitto di ogni impresa è dato dalla differenza tra i ricavi e i salari di quanti partecipano alla formazione dei ricavi nell’accezione più ampia, e dai margini di profitto di tutti i fornitori.

Per ottenere un profitto, l’impresa A deve fare in modo che i suoi ricavi siano superiori ai costi; ciò implica che i salari di quanti partecipano alla produzione di A siano inferiori ai suoi ricavi.

 

Ecco il punto! Se quest’equazione rappresenta un’impresa di successo, come può realizzarsi questo risultato? Come si può vendere quanto si è prodotto se il potere d’acquisto di tutti coloro che hanno partecipato alla produzione è inferiore ai ricavi attesi? Se si sommano tutti i salari pagati nel corso del processo produttivo (non solo quelli pagati direttamente dall’impresa, ma anche quelli sostenuti dai fornitori di beni e servizi intermedi, in base a quanto hanno contribuito al prodotto finale), saranno inferiori ai ricavi attesi dell’esatto ammontare dei profitti attesi.

Un esempio:

L’impresa A utilizza propri dipendenti che paga complessivamente 100 dollari.

Oltre alla propria forza lavoro, acquista dall’impresa B beni intermedi del valore di 30 dollari e utilizza macchinari del valore di 40 dollari prodotti dall’impresa C, che ritiene di poter utilizzare per quattro anni, quindi il costo del macchinario è equivalente a ¼ di quaranta dollari = 10 dollari all’anno.

I costi complessivi di A sono:  100 + 30 + 10 =140$

Se vuole  ottenere un profitto del 10%, qualsiasi cosa venda, A deve avere ricavi pari a 140 * 1,1 = 154$.

Anche l’impresa B, che fornisce beni intermedi, deve realizzare un profitto, diciamo sempre dell’ordine del 10%. Quindi il monte salari relativo a questa fornitura non potrà essere superiore a 30 / 1,1 = 27$. Se pagasse salari più alti, non raggiungerebbe l’obiettivo di conseguire un margine di profitto del 10%.

Quando stabilisce il suo obiettivo di profitto, l’impresa C, che produce macchinari con un lungo ciclo di vita, deve calcolare il salario dei suoi dipendenti in linea con il turnover atteso dei propri macchinari. Così non può pagare i propri dipendenti più di 10 / 1,1 = 9$, se il margine di profitto atteso continua ad essere il 10%. In questa piccolissima economia, C non può vendere un’altra macchina prima che la precedente sia stata completamente ammortizzata e l’impresa A non abbia bisogno di una nuova.

Ne consegue che il potere d’acquisto complessivo dato dal monte salari è:

AD (Domanda Aggregata = Potere d’acquisto) = 100$(A) + 27$(B) + 9$(C) = 136$

L’offerta complessiva dell’impresa A è:  AS = 154$

La differenza tra AS e AD è di 18$, che sono dati da 14$ (profitto di A) +3$ (profitto di B) +1$ (profitto di C).

Quindi la produzione dell’impresa A incontrerà alcuni problemi nella vendita,  proprio perché il monte salari non ha il potere d’acquisto necessario a realizzare gli obiettivi di ricavo di A.  Questo semplice esempio descrive i problemi relativi al profitto e ai suoi effetti su un ridotto potere d’acquisto. Quanto più alto è il margine di profitto, tanto maggiore è la differenza finale tra la domanda disponibile  e l’offerta.

Si potrebbe correttamente dire che i ricavi si conseguono grazie a clienti che non sono propri dipendenti. Giusto. Ma anche queste persone lavorano per un’altra impresa, che è guidata dallo stesso principio: vuole realizzare un profitto. Perciò, logicamente, anche quest’altra impresa fisserà i prezzi in modo che i suoi ricavi siano maggiori del monte salari dei propri dipendenti e di quelli comunque legati alla sua produzione. Possiamo quindi trasformare l’equazione relativa ad un’unica impresa in un’equazione globale, che descriva la somma dei ricavi di tutte le imprese di un’economia:

 

Esempio:

Aggiungiamo un’altra impresa D, che produce un altro prodotto con un monte salari di 1000$ e ha un obiettivo di profitto marginale di 20$, così si attende  ricavi per 1.200$.

Il potere d’acquisto complessivo di queste due imprese diventa:

1.000$ (D) + 136$ (A+B+C) = 1.136$

L’offerta aggregata, data dalla produzione di queste due imprese, ha un valore di 154$ (A) + 1.200$ (D) = 1.354$.

Sebbene la seconda impresa abbia significativamente aumentato il potere d’acquisto del sistema, l’insieme dei clienti di quest’economia non è  grado di acquistare quanto viene loro offerto. La differenza tra AS(1.354) e AD(1.136) è data ancora una volta dal profitto:  18$ (A+B+C) + 200$ (D) = 1.354$ - 1.136$

Potrebbe anche accadere che i dipendenti ben retribuiti dell’impresa D acquistino tutta la produzione dell’impresa A, ma in questo caso rimarrebbe una domanda insufficiente (1.136-136=1.000$) per conseguire gli obiettivi di ricavo dell’impresa D, almeno se questa  vuole realizzare un profitto.  Se tutti i dipendenti che partecipano al sistema di imprese A+B+C  e i dipendenti di D usassero il loro salario per acquistare la produzione di D,  quest’ultima realizzerebbe quasi il 95% del proprio obiettivo di vendita (1.136 / 1.200), riuscendo anche a mantenere un margine di profitto, ma le imprese A, B e C non venderebbero nulla e alla fine fallirebbero.

Il risultato è evidente e per alcuni sorprendente:

Se esistesse soltanto il reddito da lavoro e tutti i ricavi venissero da quest’unica fonte, non sarebbe possibile conseguire l’obiettivo di profitto, perché il potere d’acquisto distribuito fra le imprese sotto forma di salari è inferiore ai ricavi attesi.

 

I consumatori possono comprare solo quanto ottengono grazie ai salari e ad altre risorse che chiamiamo addizionali. Poiché il monte salari (obiettivo ed effettivo) è inferiore all’offerta aggregata, non è possibile realizzare l’obiettivo di ricavi soltanto grazie al reddito da lavoro. E’ matematicamente impossibile. Allora, come riesce a funzionare il sistema? (perché funziona, o almeno così sembra!)

 

La premessa su cui si basa il capitalismo è che persone capaci intraprendano nuove imprese, scoprano nuovi prodotti che hanno successo sui mercati e ottengano un profitto che rappresenta  la giusta ricompensa per essersi assunti un rischio e aver innovato. Il profitto è poi reinvestito attraverso le banche e il mercato dei capitali in nuove imprese che a loro volta producono altre innovazioni e altre imprese, in un ciclo che si ripete all’infinito. Le imprese che hanno successo generano occupazione e pagano le tasse, le altre falliscono e fanno spazio a quelle più capaci di soddisfare le richieste dei clienti e ad utilizzare al meglio il capitale e le risorse naturali. A prima vista, sembra che nell’equazione non vi sia alcun errore, che il sistema sia perfetto e che questa sia l’organizzazione ideale per la società umana.

Ma perché ci sono le crisi economiche? Perché all’incirca ogni trent’anni c’è una crisi del mercato azionario che brucia i risparmi di milioni di persone e altri milioni di persone sono condannati a una vita senza prospettive? Perché eserciti di disoccupati non riescono a trovare lavoro, per quanto facciano? Centinaia di migliaia di persone perdono il tetto sopra la testa, centinaia di persone muoiono senza assicurazione per la strada. E’ il ventunesimo secolo, abbiamo tutte le meraviglie tecnologiche che si possono immaginare: computer, microscopi elettronici, astronavi che vanno nello spazio, ma non siamo in grado di raggiungere la pace sociale e la prosperità per tutti.

Il problema si trova proprio nel sistema. Non è così ovvio:  un singolo, un individuo o  un’impresa, non può vedere i difetti nascosti del sistema, il codice genetico programmato per distruggere questo sistema perfetto.  La crisi si manifesterà soltanto su scala globale, progressivamente. Il tempo consentirà agli agenti patogeni di svilupparsi completamente,  di raggiungere il punto di rottura, quando non sarà più possibile negare l’esistenza del problema. Quando una malattia raggiunge l’acme, diventa importante capire  la sua origine e le sue cause, come cresce e come si manifesta, in modo da adottare per tempo la giusta cura. Se prendiamo la giusta decisione, possiamo curare il nostro sistema economico. Ma se sarà quella sbagliata, l’economia morirà. E’ già successo negli anni Trenta, durante la Grande Depressione. I politici e gli economisti del tempo gridavano: austerità!! Lasciate che si perda il lavoro, che la Borsa crolli, che l’agricoltura fallisca. Le conseguenze furono devastanti. Una gravissima recessione economica, milioni di disoccupati, fallimenti di ogni ordine e grado. Abbiamo imparato la lezione? Sappiamo perché quella decisione fu così sbagliata, perché portò a una caduta così rovinosa? La situazione attuale rispecchia quella degli anni Trenta? Si dice che chi non impara dalla storia è destinato a ripeterne gli errori.

Guardiamo insieme, senza pregiudizi ideologici o politici, come si crei, si accumuli e si distribuisca il profitto, cosa sia il capitale e quali le regole “genetiche” del sistema capitalistico.

 

3.Risorse addizionali necessarie alla creazione del profitto

Quali sono queste risorse addizionali? Ne discuteremo in dettaglio.

E’ una scoperta stupefacente,  ma in effetti i profitti in un’economia si ottengono soltanto grazie ai prestiti personali, all’utilizzo del risparmio, ai trasferimenti pubblici, e all’utilizzo dei profitti sotto forma di consumo dei profitti già conseguiti e delle pensioni.

Secondo un consolidato punto di vista, i risparmi costituiscono una dubbia fonte di consumo. In primo luogo il loro ammontare è dato, in secondo luogo la loro stessa esistenza implica che in precedenza il reddito da lavoro non è stato completamente trasformato in consumo, e quindi in passato il livello di profitto è stato ridotto di un ammontare pari al flusso di risparmio. Per quanto possa rivelarsi utile, il risparmio non è una fonte sostenibile di crescita economica,  perché alla fine del processo si ridurrà a zero. Se, in via puramente teorica, si risparmiasse l’intero reddito da lavoro e non vi fosse altro reddito derivante da prestiti o trasferimenti, il profitto globale di quell’anno sarebbe zero.

Si ottiene quindi

Tutti i costi in realtà sono trasformati in salari e profitti.

Perché si conseguano dei profitti sono necessarie, oltre ai salari – che rappresentano il potere d’acquisto primario –  fonti addizionali che si aggiungano al reddito da lavoro, in grado di sostenere la creazione del profitto. Così, nel lungo periodo e su scala globale, il profitto dipende unicamente dal volume di prestiti nel sistema, dai trasferimenti  e dal consumo di profitti già conseguiti. Altrimenti non vi è modo di realizzare un profitto su scala globale.

Questo è il  nocciolo della teoria. Le conseguenze sono molteplici.